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Fondazione Bevilacqua La Masa

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Do for it/With someone else

02.12.02> 04.12.02

 
 
 

a cura di Hans Ulrich Obrist
La riflessione sull'utopia, sulla sua natura in quanto modello alternativo del reale, acquisisce una particolare rilevanza specie dopo i recenti eventi mondiali, come mondo alternativo a quello governato dalla violenza, fatto di ingiustizia e guerre. La necessità di produrre una nuova visione nasce dal desiderio di trovare nuovamente il coraggio di pensare su mondi differenti, non più umiliati da una visione miope e paranoica del vero.
Il Venice Utopia Seminar è iniziato presso la Facoltà di Design e Arti e la facoltà di Architettura nel 2001, a cura di Hans Ulrich Obrist, Alessandro Petti e Stefano Boeri. Per due anni intellettuali, artisti, antropologi, architetti, da Paulo Soleri a Maurisio Cattelan, Ugo La Pietra e Lorenzo Romito, Yona Friedman e Piero Zanini, Carsten Hoeller e Marco De Michelis, Gyula Kosice e Angela Vettese, Olafur Eliassson e Armin Linke, tra gli altri, sono stati invitati a interrogarsi sulle varie possibilità di una utopia concretamente realizzabile. Ora, come naturale prosecuzione del seminario, il progetto DO IT/WITH FOR SOMEONE ELSE, che è nato insieme a Molly Nesbitt e Rirkrit Tiravanija, diventerà visibile dal due dicembre 2002 presso la Fondazione Bevilacqua La Masa.
DO IT WITH/FOR SOMEONE ELSE prende la forma di una mostra con progetti realizzati dagli studenti del Corso di laurea in Arti Visive della Facoltà Design e Arti e del Corso di Laurea in Architettura, volutamente congiunti a superare le barriere disciplinari.
Ogni studente, oltre a produrre un'opera fatta CON un'altra persona e PER un'altra persona, darà a ogni visitatore le istruzioni che potrebbero mettere in grado anche lui di realizzare il lavoro.
DO IT WITH/FOR SOMEONE ELSE è soprattutto un modo per riflettere sull'UTOPIA di una nuova frontiera tra Palestina e Israele, un confine utopico perchè mobile, intermittente, discontinuo, capace di essere raddoppiato, e di accogliere le due popolazioni nel suo spazio interno. Un confine che è una fine, è biodegradabile, è dissolvibile. Un confine invisibile, che si coagula in punti. Un confine che diventa un sistema di spazi di dialogo, che raccoglie memorie ed esperienze, che entra nei due territori invece di dividerli. Un confine-meccanismo, che genera tensioni fertili tra ciò che pure distingue e separa.